Il nuovo romanzo di Jay McInerney, “La luce dei giorni“, completa la trilogia iniziata con Brightness Falls, 1992) e The Good Life (2006). I protagonisti sono ancora Russel e Corinne Calloway, che oggi sono molto diversi da quei giovani ambiziosi e squattrinati che costruivano il loro futuro all’ombra di Manhattan. Da giovani ribelli a ricchi borghesi intellettuali. Si amano ancora ma sono una coppia usurata dalla vita, con due figli gemelli adolescenti e una vita sociale intensa e vincente che non riempie il vuoto delle loro esistenze.
I matrimoni migliori, come le navi migliori, sono quelli in grado di superare le tempeste. Imbarcano acqua, tremano e si inclinano, quasi si capovolgono, e poi si raddrizzano e veleggiano verso l’orizzonte.
Lui fa l’editor per una piccola casa editrice indipendente, lei può permettersi di dedicarsi a tempo pieno a un’associazione benefica, Entrambi sono in guerra contro la crisi di mezz’età: Corinne va in cerca di un amore che le ricordi quello folle e proibito della sua giovinezza, Russel invece scrive finalmente il suo romanzo che si rivelerà un clamoroso falso. Protagonista, sullo sfondo, ancora una volta New York.
Non diversamente dalla campagna, la città segue i ritmi delle stagioni, anche se qui è l’autunno, più che la primavera, il tempo della rinascita e del rinnovamento – l’inizio di un nuovo anno per i gentili non meno che per coloro che celebrano Rosh haShana, il momento in cui scuotersi di dosso il torpore e l’indolenza di agosto e rimandare i figli a scuola, dove cominceranno da capo, stringeranno nuove e interessanti amicizie e se la caveranno meglio dell’anno passato; una stagione di inaugurazioni di ristoranti e gallerie; il periodo in cui le mode dell’anno venturo vengono svelate sulle passerelle mentre le foglie di ginkgo ingialliscono, la Settimana della Moda cede il passo al New York Film Festival, alla riapertura della Metropolitan Opera, della Filarmonica e del City Ballet, ai grandi gala di beneficenza, e più avanti alle aste d’arte da Christie’s, Sotheby’s e Phillips de Pury, che ci dicono quanto ricchi si sentano quest’anno i ricchi.
I fantasmi del passato, i tradimenti, i fallimenti, si intrecciano alle vicende di altri personaggi del loro stesso ambiente: coppie di amici che divorziano, scrittori esordienti destinati a bruciarsi. La Luce dei giorni (Bright, Precious Days) è anche un romanzo sulla fragilità di quella borghesia liberal e illuminata che si è crogiolata nelle sue illusioni e che non è riuscita a opporsi al nuovo sogno americano, quello di The Donald.
McInerney (classe 1955) ha aspettato dieci anni prima di concludere la sua trilogia. Nel frattempo ha continuato la sua attività di critico di vini e si è sposato per la quarta volta. Insomma, è invecchiato, come Russel e Corinne. Ex ragazzo prodigio della letteratura, in questo romanzo McInerney – a mio parere – mostra tutte le sue fragilità e i suoi limiti. Quasi vivesse nel terrore di essere dimenticato dalla critica e dal pubblico. Per uno scrittore di successo non è facile essere sempre all’altezza delle aspettative e alla fine questa sua personale fragilità lo rende più umano. Così chiudo il libro e lo perdono.
Autore | Jay McInerney |
Titolo | La luce dei giorni |
Traduttore | Andrea Silvestri |
Editore | Bompiani |
Pagine | 512 |
Prezzo | € 20 |