La macchia umana

La macchia umana Philip Roth

Paola Blandi
1 Marzo 2014

Terzo capitolo della "Pastorale americana"

Immagino capiti anche voi. Quando un libro è scritto bene è una vera goduria immergersi nella parole. Se poi  la storia è bella, l’argomento ti prende, il plot regge e ciò che leggi ti stimola a pensare… è triste chiuderlo quando arrivi alla fine.
Affermare che Philip Roth scrive da dio è una ovvietà (lo dimostrano anche gli innumerevoli premi vinti nella sua lunga carriera).

La macchia umana conclude la straordinaria trilogia che Roth (nato nel New Jersey nel 1933) ha dedicato all’America: “Pastorale americana” sugli anni della contestazione e del terrorismo, “Ho sposato un comunista” sulla caccia alle streghe e quest’ultimo che – guardacaso – è ambientato nel 1998, anno dello scandalo di Bill Clinton con la stagista Monica Lewinski. Argomenti e ambientazioni così profondamente americani da diventare universali.

La macchia è quella di uno stimato professore bianco che è riuscito per tutta la vita a mantenere il segreto riguardo al sangue “nero” che scorre nella sue vene che da giovane gli aveva già procurato un sacco di problemi e umiliazioni. Come biasimarlo se si è costruito una famiglia e una carriera fondate sulla menzogna? Ma un giorno il segreto viene fuori e la sua vita è rovinata. Di colpo Coleman non è più stimato padre, marito, professore. Per giunta dopo che affetti e società gli hanno voltato le spalle troverà un amore molto sconveniente con una giovane donna di umili origini. Si innamora e la sua vita a settant’anni forse diventa per la prima volta la sua vita vera.
La donna che fa innamorare Coleman si chiama Faunia ed è un bellissimo personaggio. Povera, una vita travagliata, senza futuro, dice cose come: La maggior parte delle donne vogliono essere padrone di qualche cosa. Vogliono mettere le mani sulla tua posta (…) vogliono impadronirsi di quello che sei. Ma il piacere non consiste nel possesso della persona il piacere è questo: avere un’altra contendente con te nella stanza…
E dopo che lui, guardando la saggia Faunia che balla solo per lui dice : Che fortuna, che incredibile fortuna la vita me la doveva…
E’ lei a chiarire l’ingiustizia subita dal professore: Hanno umiliato, mortificato e distrutto un uomo per una ragione che- lo sapevano tutti- era una stronzata. Una parolina insignificante che per loro non voleva dire nulla, assolutamente nulla. E questa è una cosa che fa andare in bestia.

Fino all’immagine finale, di un uomo che trivella il ghiaccio per pescare. Un’immagine pura e vera – dice Roth- come la vita che il protagonista ha sempre cercato. Ma noi lettori sappiamo chi è quell’uomo che ha ispirato quella sensazione di purezza al protagonista. Ed è per questo che anche noi, insieme al protagonista ci lasciamo sopraffarre dal nostro disagio interiore e dal giudizio sociale e ci allontaniamo per sempre da quella visione di pace.

E’ una storia d’ amore, di delusioni, di false speranze…è triste ma consolante. E’ l’America, ma siamo tutti noi che fingiamo di avere la mente aperta, che lottiamo solo apparentemente contro i pregiudizi e che – a parole- veneriamo la verità. E’ un libro da leggere assolutamente. Il film invece, del 2003, con Anthony Hopkins e Nicole Kidman, potete tranquillamente evitarlo.

 


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Autore
Titolo La macchia umana
Traduzione Vincenzo Mantovani
Editore Einaudi
Pagine 390
Prezzo €13