Sono le madri che tramandano le storie di una nazione. È la scelta dell’autrice, di parlare del Brasile attraverso la storia di 20 donne, tutte discendenti dalla stessa antenata. C’erano giorni in cui il Brasile era un paradiso terrestre, alberi e uccelli strani, aria frizzante, serpenti velenosi frutti dolci come il miele. Era la Terra sem males, senza guerre, malattie, dove i Tupiniquim, discendenti dei Tupi, insomma le popolazioni indigene, vivevano felici. Non era preistoria, era il 1500. Anno in cui Inaiá, 12 anni, vide degli uomini arrivare sulle coste, avevano uno strano colore, bianco, uno strano odore, erano pieni di peli ovunque, emettevano strani suoni e portavano strani indumenti. Erano i portoghesi sbarcati sulle coste del Nord Est in cerca del pau-brasa, il pernambuco, il legno rosso pregiato da portare in Europa, al re del Portogallo, che diventerà il pau-brasil. E Fernão, detto il brasileiro, perché era già la seconda volta che da mozzo sbarcava sulla Terra dos papagaios in cerca d’avventura, la vide e la prese. E nacque Tebereté. Che aveva una piccola voglia scura sulla nuca.
Raccontata da un io narrante, sicuramente femminile, la storia del Brasile si dipana nelle vite delle discendenti di Inaiá. Tebereté incontrerà Jean-Maurice, francese, e lo mangerà, perché i tupiniquim erano cannibali, prima di sapere che era incinta di Sahy. Poi arriveranno gli spagnoli e gli olandesi. Nella terra senza mali porteranno gli schiavi dall’Africa per fare grande quel paese per il re di turno. E 20 voci femminili, nate una dall’altra in una catena che le vede schiave, padrone, imprenditrici, vittime, carnefici e finalmente libere, raccontano la storia di una nazione attraverso le loro vite. Una storia fatta sulla pelle delle donne. L’eredità arriva a Maria Flor, nata nel 1968, una millennial dai capelli blu con una voglia scura sulla nuca. Sua nonna Rosa era la moglie di uno dei fondatori di Brasilia, e sua mamma Ligìa, è sparita con altri 434 brasiliani, combattendo la dittatura. Maria Flor è un’artista, vive in una Rio inquinata, caotica, dove l’aria è sporca e il sole è malato. Dove i ragazzini rubano, uccidono, dove è pericoloso andare di notte. Cosa resta della Terra sem males? La speranza. Maria Flor è incinta. A chi passerà il testimone?
L’autrice è un’antropologa, e si sente dalla precisione e accuratezza della ricostruzione scientifica, ma ci racconta la storia dell’evoluzione di un paese con il ritmo e il gusto di un romanzo d’avventura, una Salgari al femminile, per intenderci. Ma lei in Brasile è nata e non scrive avventure a tavolino. Con un pizzico di thriller che non guasta. Non è una lezione sulle tribù indigene e sui guasti del colonialismo. È un romanzo corale sulle donne, guerriere da sempre. In più, si imparano tante cose su un paese tanto lontano, conosciuto solo per certi stereotipi.
Autore | Maria José Silveira |
Titolo | La madre della madre di sua madre e le sue figlie |
Editore | Mondadori |
Pagine | 355 |
Prezzo | 19 € |