“Sono narcisista instabile e ossessionato dell’idea di essere un grande scrittore.”
Seduto sul suo zafu Emmanuel Carrère, nel suo ultimo romanzo pubblicato in Italia da Adelphi ci introduce nel mondo dello yoga, della meditazione, del tai chi, discipline che pratica da 30 anni e contemporaneamente spalanca le porte dell’abisso psicotico nel quale è precipitato, nonostante tutto.
Mentre segue un seminario di Vipassana (“vedere le cose come sono”) che consiste nello stare in silenzio meditando e camminando per ore durante una settimana senza contatti con l’esterno o con gli altri partecipanti, lo “Scrittore egocentrico” pensa continuamente al libro agile e accattivante che scriverà alla fine, per condurre il lettore in questo mondo, condividerne lo “stato di meraviglia e serenità»” e far capire che la meditazione e lo yoga aiutano a sentirsi meglio.
Un tragico evento (la sparatoria nella redazione di Charlie Hebdo e la morte di un amico) lo costringerà a interrompere il cammino meditativo e tornare a Parigi. E da quel momento tutto cambia. Carrère ci accompagna nel suo personale inferno e precipitiamo insieme a lui in un abisso fatto di depressione alternata a euforia, problemi di alcolismo, pensieri suicidi, medicine, sedute psicoanalitiche fino al ricovero nell’ospedale psichiatrico Sainte Anne per quattro mesi con la diagnosi di un disagio psichico importante e la somministrazione di dosi massicce di ketamina (anestetico per cavalli) e ben quattordici sedute elettroshock.
Ma accadono anche altre cose in questo libro e Carrère, da grande scrittore quale indubbiamente è, ci porta a vivere con lui nella disperazione dei superstiti dello tsunami in Sri Lanka, poi nella “sua” isola di Patmos, buen retiro per intellettuali, da cui parte alla volta di un’altra isola greca, Lesmos dove approdano tanti profughi in fuga dalla guerra e qui per mesi insieme all’americana Frederika (che si nasconde da una delusione d’amore e ascolta ossessivamente l’Eroica di Chopin), organizza corsi di scrittura nel centro rifugiati e conosce le storie terribili di alcuni giovani afghani ai quali si affeziona. Ma ci sono tante altre storie; un reportage in Iraq; gli amici di una vita; l’intensa e clandestina storia d’amore e di sesso che per decenni lo lega a una donna quasi sconosciuta di cui non conosce neppure il cognome, ma insieme alla quale ruba indimenticabili notti d’amore; altre storie, riflessioni su arte e letteratura, citazioni e il racconto del suo personale rapporto con yin e yang, bianco e nero, vuoto e pieno, e l’incessante ricerca di un equilibrio tra le due forze che si oppongono nella sua psiche travolgendolo come un enorme onda anomala e malvagia.
Alle soglie dei 60 anni lui si incaponisce a immaginare una versione di sé migliore “un uomo tranquillo amorevole che abbia trovato un centro di gravità dal quale promanano una voce e delle parole che abbiano davvero peso“. Ma non ci arriva mai e come San Paolo si chiede “perché non compio il bene che desidero ma il male che odio?”
Questa autofiction intensa e travolgente, tragica e consolatoria, bellissima da leggere, questo racconto illuminante sulla natura umana, pieno ma non invadente, alla fine vedrà confluire tutto in quel semplice titolo, Yoga, perché – come lui stesso ammette – “la mia autobiografia psichiatrica e il mio saggio sullo yoga erano lo stesso libro.”
Aggiungo solo che personalmente con questo libro ho compreso più cose sullo yoga (parola che letteralmente significa attaccare insieme allo stesso giogo due bufali o due cavalli) e la meditazione, di tanti dotti ed esaurienti trattati sull’argomento.
La meditazione consiste nello stare per un certo tempo immobili e in silenzio. Tutto ciò che accade nel lasso di tempo in cui stiamo immobili seduti e in silenzio è meditazione.
Autore | Emmanuel Carrère |
Titolo | Yoga |
Editore | Adelphi |
Traduzione | Lorenza Di Lella, Francesca Scala |
Pagine | 312 |
Prezzo | € 20 |